LE FARMACIE COMUNALI NOTE SULLE PRIVATIZZAZIONI

perché vendere un patrimonio che produce elevatissimi utili ed offre un servizio estremamente professionale, con  capacità e sensibilità sociale? l’ansia di vendere le farmacie,da parte delle amministrazioni, è giustificata solo dal fatto che con il progressivo azzeramento dei trasferimenti statali  si stanno creando forti debiti di cassa

L’articolo 10 della legge n.62 del 1991, mediante la tecnica delle modificazioni del primo comma dell’art.9 della precedente legge 475 del 1968 ha introdotto quattro forme di gestione delle farmacie comunali di cui sono titolari i comuni:

–          In economia.

–          Azienda speciale.

–          Consorzi tra Comuni.

–          Società di capitali tra il Comune e i farmacisti che prestano servizio presso le farmacie di titolarità comunale.

L’art.12 della legge 23 dicembre 1992 n.498 ha previsto ai fini della privatizzazione dei servizi pubblici la possibile costituzione d’apposite società per azioni senza il vincolo della proprietà maggioritaria del Comune. Unica possibilità di deroga al regime ordinario di gestione delle farmacie con la facoltà di costituire società con soggetti diversi dai farmacisti.

LEGGE CHE HA PERMESSO LA VENDITA DELLE  FARMACIE COMUNALI.

La legge 267 T.U. enti locali del 18 agosto 2000 ha abrogato l’art.12 comma 1 della legge 23 dicembre 1992 n.498, con l’abrogazione della suddetta legge, il quadro normativo ritorna ai modelli gestori di cui all’art.10 n.362 del 1991. Su tale modificazione il Ministero degli Interni in data 2 aprile 2001 ha precisato:

“In tal senso quindi si ritiene di precisare che come prevede il citato ordine del giorno che la modifica dell’art.116 è finalizzato a consentire la costituzione da parte dei Comuni di società per azioni per la gestione delle farmacie Comunali in deroga unicamente ai vincoli della partecipazione maggioritaria e non in deroga ad altri vincoli, quali quelli relativi alle scelte dei soci, individuati dalla normativa del settore, nel caso specifico la legge n.362 del 1991.”

Di conseguenza, nel settore farmaceutico, è oggi possibile costituire società di capitali nei modelli previsti dall’art.10 legge n.362 1991 e più precisamente:

–          S.p.a. o s.r.l.

–          Solo coi farmacisti in forza all’atto della trasformazione all’atto della trasformazione in società di capitali.

–          A partecipazione pubblica maggioritaria o minoritaria.

–          Con l’obbligo delle dismissioni da parte dei farmacisti dalla gestione in economia alla società di capitali.

–          Senza allargarne l’azionariato ad altri dipendenti.

–          Con il divieto di cessione a terzi per atto tra vivi o mortis causa, se non ad altri farmacisti già azionisti o al Comune.

Le azioni potranno avere natura ordinaria (partecipazione anche alle perdite), o privilegiata (non partecipazione alle perdite).

Da valutare in favore dei farmacisti:

–          Uno sconto sul valore delle azioni.

–          La liquidazione del t.f.r..

–          Il pagamento di una parte dello stipendio in azioni.

–          L’accensione di una linea di credito, con il proprio istituto tesoriere, a tasso agevolato

–          Ecc..

L’alternativa alla gestione “pubblicistica” delle farmacie da parte dello stesso Comune titolare, è costituito dalla gestione attuata mediante un soggetto giuridico privato, necessariamente i farmacisti dipendenti, cioè non è possibile l’affidamento ad una società di capitali interamente controllata dal comune, e tanto meno, ad una società cui partecipino privati diversi dai farmacisti.

L’art.113 T.U.E.L. afferma che a norma dell’art.116 vi è la forma della gestione “per azioni senza il vincolo della proprietà pubblica maggioritaria”. Tali forme di gestioni non sono riferibili allo specifico sistema del servizio farmaceutico, retto da una disciplina propria.

A tal proposito riporto il giudizio del dott. Graziano  Angeli, dirigente del settore Legale e Affari Generali del Comune di Lucca, comune interessato alla vendita delle azioni delle farmacie comunali ad una grossa multinazionale:

“La lettura dello stesso art.116 del T.U. pure con la modifica da ultimo apportata, evidenzia il nucleo centrale della norma nell’esigenza di attuare procedure d’evidenza pubblica (quelle mutuabili dal d.lgs 157/95, come afferma il dpr 196) ancora una volta spiazzando l’interpretazione ufficializzata del Ministero il quale, anzi, sottrarrebbe  a tale regime un settore pacificamente considerato “servizio pubblico locale”come quello della gestione delle farmacie comunali. E che dire del fatto che l’interpretazione potrebbe avere come conseguenza l’impossibilità per il Comune di scegliere il modello di SPA quale soluzione ottimale per la gestione del servizio? Basterebbe infatti che i farmacisti (gli unici soci possibili) potrebbero non essere interessati ad entrare in società……e allora? Infine ci sono aziende trasformate in SPA che vedono i Comuni ancora soci unici ed alla ricerca, nel rispetto delle regole dell’evidenza pubblica, di soci imprenditori da reperire entro un biennio dalla trasformazione, con atti votati dagli organi Comunali e da pronunce giurisprudenziali favorevoli, tutto questo penso abbia un significato giuridico importante. Sarebbe davvero incredibile se il processo di trasformazione dovesse bloccarsi per un veto che potrebbe scaturire dalle sola esistenza di farmacisti dipendenti dalla cui esclusività potrebbe derivare l’avallo alle scelte del Consiglio Comunale.”

Su questi temi voglio riportare quello che sta succedendo nel processo di privatizzazione di una ASM S.p.A., azienda a carattere misto: farmacie, trasporti e igiene urbana. L’azienda nasce con una delibera di un Consiglio Comunale, le azioni di proprietà comunale dovranno rimanere tali per un periodo non superiore a due anni. Il Comune manterrebbe la quota di maggioranza del capitale ASM. Su tale futuro assetto la Federfarma  Nazionale, la Fererfarma Regionale, la Federfarma Provinciale hanno ricorso presso un Tribunale  Amministrativo regionale. La presentazione di tale ricorso ha determinato un gran dibattito tra il personale dipendente delle farmacie, ed in una libera riunione si è stabilito ad unanimità che nessun farmacista si sarebbe sottratto alla responsabilità di acquistare quote del capitale sociale dell’ASM S.p.A.. Quindi devono stare tranquilli gli amministratori e i dirigenti dei settori legali e affari sociali; nessun farmacista dipendente ha intenzione di lasciarsi sfuggire l’occasione di acquistare le quote del capitale sociale, e nessun processo di privatizzazione sarà bloccato dal veto di chicchessia.

Un ultima riflessione su i processi di privatizzazione, c’è davvero bisogno di cedere ai privati la maggioranza azionaria delle aziende che gestiscono le farmacie comunali? Perché vendere un patrimonio che produce elevatissimi utili ed offre un servizio estremamente professionale, con capacità e sensibilità sociale? L’ansia di vendere le farmacie da parte delle amministrazioni locali,  è giustificato solo dal fatto che con il progressivo azzeramento dei trasferimenti statali determinati dalla contrazione del debito pubblico si  stanno  creando forti debiti di cassa. Pur comprendendo tutto ciò, penso ci possa essere un modo diverso di privatizzare,  di incassare, di far quadrare i conti dei bilanci comunali. Penso che mantenere la maggioranza del capitale sociale, cedendo ai farmacisti la quota di minoranza, sia una cosa molto ragionevole ed appagante, ciò porterebbe ad incassare consistenti capitali freschi, acquisire maggior capacità manageriali e mantenere il dominio dell’impresa e incassare ogni anno e per sempre dividendi importanti.

  aprile 2002

www.salvelocs.it

Aggiornamento al 01/12/2002

TAR Lombardia sentenza 27 Giugno 2002, n.2654

“L’entrata in vigore del Dlgs 18 Agosto del 2000, n.267 Testo Unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali non ha prodotto alcuna modificazione sostanziale nel settore della gestione societaria dei servizi pubblici locali, pertanto è, tuttora legittima la cessione del pacchetto azionario di maggioranza, a favore di soggetti privati non farmacisti, di una società costituita per la gestione delle farmacie comunali”.

Con questa pronuncia il tribunale amministrativo lombardo ha sentenziato che la legge n. 267 del 26 Agosto 2000 non ha apportato sostanziali modifiche alla legge preesistente. I Comuni potranno tranquillamente vendere a soggetti privati il pacchetto azionario di maggioranza delle farmacie pubbliche.

E’ la fine di un sogno?

Questa è l’Italia che ci meritiamo!

Aggiornamento al 14/12/2002

La vendita delle farmacie comunali non può essere fatta a favore dei distributori.

TAR Lombardia ordinanza 26 Luglio 2002, n. 112

“E’ rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art.8, primo comma lett. a delle legge 8 novembre 1991 n.362, in relazione all’art.10 (Gestione comunale delle farmacie) della stessa legge, nella parte in cui mentre si stabilisce la incompatibilità della posizione di socio di una società di persone che gestisce una farmacia privata con qualsiasi altra attività esplicata nel settore delle produzione, distribuzione, intermediazione e informazione scientifica del farmaco non prevede identica incompatibilità per il caso di trasferimento della maggioranza azionaria di società di gestione di farmacie comunali, trasferimento che quindi può avvenire anche a soggetti che operano nel settore della produzione, distribuzione e intermediazione del farmaco.

Con la ordinanza di remissione, dunque, si chiede alla Corte Costituzionale di verificare se l’art. 8, comma 1, lett.a della legge 362/91 (quello sulle incompatibilità) sia conforme alla Costituzione nella parte in cui per la gestione societaria di farmacie comunali (art. 10 legge 362/91) non impone la stessa incompatibilità. Una pronuncia positiva della Corte Costituzionale porterebbe a estendere l’incompatibilità anche alle farmacie pubbliche, con la conseguenza che l’operazione Afm cadrebbe integralmente proprio perché  si è risolta nel sostanziale affidamento delle suddette farmacie a una società che opera nel settore della distribuzione e intermediazione del farmaco.

 28 novembre 2002.

Stringiamo le dita e mandiamo positivi pensieri alla Corte Costituzionale. Se la Corte Costituzionale dovesse accogliere positivamente l’ordinanza del Tar lombardo accadrebbe un vero terremoto, decadrebbero le vendite delle farmacie effettuate a favore dei distributori intermedi ( Milano, Bologna, Firenze, Rimini ecc…).

Si rimetterebbe tutto in gioco!

Aggiornamento al 31/09/2003

La sentenza della Corte Costituzionale è finalmente arrivata! Giustizia è fatta.

CORTE COSTITUZIONALE. Sentenza 11-2-2003, 24-07-2003 N. 275. É costituzionalmente illegittimo l’art. 8, comma 1, lett. a, della legge 8 novembre 1991, n. 362 (norme di riordino del servizio farmaceutico), nella parte in cui non prevede che la partecipazione a società di gestione di farmacie comunali sia incompatibile con qualsiasi altra attività nel settore della produzione, distribuzione, intermediazione ed informazione scientifica del farmaco.

La Corte Costituzionale ha dato ragione al TAR Lombardia; con la decisione presa si potrebbero avere dirompenti effetti sulla privatizzazione di numerose aziende farmaceutiche, con ripercussioni sulle casse degli enti locali. La decisione della Corte Costituzionale era sorta a causa di una delle più importanti dismissioni azionarie: la cessione della quota di maggioranza della AFM di Milano. I giudici amministrativi del TAR lombardo hanno rimesso alla decisione della Corte Costituzionale la mancata estensione dell’incompatibilità della legge 362/91 per le società che gestiscono farmacie private. La Corte Costituzionale con la sua decisione stabilisce l’incompatibilità per chi ha interesse ad acquistare pacchetti azionari di farmacie pubbliche. L’effetto di tale sentenza farà sentire il suo peso per le eventuali future dismissioni; i partecipanti all’acquisto di azioni di farmacie pubbliche dovranno dimostrare l’assenza di incompatibilità introdotte dalla Corte. La pronuncia peserà anche su tutte le procedure in atto, come nel caso di Milano. Quindi la gestione societaria delle farmacie comunali è soggetta agli stessi vincoli stabiliti per società titolari de farmacie private. Le questioni aperte dalla decisione della Corte sono molte, spetterà al Tar lombardo stabilire regole certe e chiare per le dismissioni dei pacchetti azionari delle farmacie pubbliche. Chi potrà acquistarle? Spero solo singoli farmacisti o piccole cooperative di farmacisti, con diritto di prelazioni dei dipendenti laureati interessati. Stringiamo le dita!

Aggiornamento al 15/03/2004

L’Onorevole Giancarlo Pagliarini (Lega Nord) ha presentato un disegno di legge n.4576, che si propone si salvare le alienazioni delle farmacie comunali anteriori alla sentenza della Consulta e del pronunciamento della Corte Costituzionale, vedi aggiornamento al 31/09/2003. L’onorevole della Lega Nord, giustifica il suo disegno di legge, perché l’applicazione della sentenza provocherebbe rilevanti danni alle amministrazioni che hanno disinvoltamente alienato le farmacie pubbliche. Il presidente dell’Associazioni dei titolari di farmacia di Milano, dott. Paolo Gradnik, invita gli organi istituzionali al rispetto della sentenza della Consulta per i seguenti motivi:”la necessità che le farmacie pubbliche mantengano la loro funzione di salvaguardia della salute e non diventino un’appendice commerciale di una multinazionale”.

Aggiornamento al 14/11/2004

Sentenza Tar Lombardia n.4195 del 24 Giugno 2004, depositata il 29 Settembre 2004.

La sentenza del Tar Lombardia ha annullato la vendita del pacchetto azionario di maggioranza delle farmacia comunali milanesi.
Con l’annullamento della vendita del pacchetto di maggioranza delle azioni delle farmacie comunali cedute alla Gehe Italia Spa (oggi Admenta Spa Italia),  e delle due delibere, del Consiglio e della Giunta milanese, con le quali si trasformò la AFM in una società per azioni, vi è la concreta speranza che le dismissioni delle farmacie comunali vengano interrotte o riviste completamente. In attesa del probabile ricorso, alla sentenza del Tar,  da parte del Comune di Milano, della Admenda Spa e dell’Afm spa, presso il Consiglio di Stato, si possono esaminare i possibili scenari futuri. La sentenza del Tar non chiarisce come dovranno essere risolti i problemi legati agli investimenti che la Admenda ha dovuto sostenere per sviluppare e potenziare l’Afm; come saranno risolti i contratti di lavoro dei dipendenti dell’Afm assunti dopo la dismissione delle azioni da parte del Comune milanese, come e chi dovranno essere i soggetti attivi di una futura gara di appalto. La speranza e che il Comune di Milano, in un atto di buon senso, possa cedere le gestione e la proprietà dell’Afm ai farmacisti dipendenti.

Aggiornamento all’ 11/11/2005

Sentenza Consiglio di Stato, depositata l’ 8 agosto 2005.

Il Consiglio di Stato respinge il ricorso in appello presentato dalla Admenta Italia, per ottenere la riforma della pronuncia (la n. 4195 del 29 settembre 2004). La sentenza ribadisce in maniera definitiva la pronuncia della Corte Costituzionale (11-2-2003, 24-07-2003 N. 275.) che aveva giudicato incostituzionale l’art. 8 della legge 362/91, nella parte in cui non prevede che la partecipazione a società di gestione di farmacie comunali sia incompatibile con qualsiasi altra attività nel settore della produzione, distribuzione, intermediazione ed informazione scientifica del farmaco. Il Sindaco di Milano, Gabriele Albertini, dichiara al Sole 24 Ore: “l’annullamento del bando del bando è tra le cause di risoluzione del contratto con Admenta Italia e il Comune si è già attivato in tal senso, ma si dovrà comunque attendere lo svolgimento delle valutazioni tecniche necessarie per il completamento di queste pratiche”. Si riportano alcuni stralci relativi alla sentenza del Consiglio di Stato:
“Assume un rilievo centrale nella presente controversia, quel tipo di competenza che la Corte Costituzionale ha costantemente rivendicato, seppure non concretamente esercitato, che riguarda la tutela dei principi e diritti fondamentali del nostro ordinamento nei confronti della Comunità Europea”.
“In base all’art. 11 della Costituzione sono state consentite limitazioni di sovranità unicamente per il conseguimento delle finalità ivi indicate; e deve quindi escludersi che siffatte limitazioni possano comunque comportare per gli organi della CEE un inammissibile potere di violare i principi fondamentali del nostro ordinamento costituzionale, o i diritti inalienabili della persona umana”.
“Consegue da quanto detto che le argomentazioni delle appellanti volte a dimostrare il contrasto della norma dalla Corte Costituzionale con principi del trattato non hanno rilievo ai fini della domanda di disapplicazione, dovendo nuovamente rammentarsi che questo potere del giudice scatta in presenza di una disciplina di fonte comunitaria suscettibile di applicazione diretta. L’apprezzamento del detto contrasto compete certamente alla Corte di Giustizia ove ne fosse ritualmente investita”.
“A tale riguardo il Collegio non ha motivo di pronunciarsi sulla possibilità che si svolga nel futuro, anche prossimo, un giudizio della Corte di Giustizia sulla compatibilità della norma italiana con il Trattato, a seguito dell’esercizio delle competenze proprie degli organi comunitari. Ritiene invece non consentito che il giudice nazionale in presenza di una statuizione della Corte Costituzionale che lo vincola alla applicazione della norma appositamente modificata in funzione della tutela di un diritto fondamentale, possa prospettare alla Corte del Lussemburgo un quesito pregiudiziale della cui soluzione non potrà comunque tener conto, perché assorbita dalla decisione della Corte italiana, incidente nell’area della tutela dei diritti ad essa riservata”.